L’AI e il change management sono spesso trattati come due progetti separati. Da un lato troviamo le attività di natura prettamente tecnica, come la creazione di un modello, la gestione dei dati o le integrazioni. Dall’altro, però, c’è un aspetto più “soft” trascurato da molte aziende, che riguarda il modo in cui l’AI viene introdotta nel contesto aziendale e accolta dai collaboratori. Affinché il cambiamento avvenga in modo fluido e naturale, non ci si può limitare a una comunicazione interna superficiale e a qualche corso di formazione.
Questo approccio, infatti, ha dimostrato di non essere efficace per raggiungere gli obiettivi della trasformazione digitale. Invece, è necessario un approccio integrato che coinvolga sia gli aspetti tecnici che quelli umani, per garantire che il cambiamento sia recepito correttamente e accettato da tutto il team.
Le statistiche degli ultimi anni dimostrano che molte aziende abbandonano i progetti di intelligenza artificiale ancor prima della messa in produzione, o li lasciano fermi allo stadio sperimentale. In una percentuale significativa dei casi, il personale aveva manifestato apertamente o implicitamente il suo dissenso nei confronti delle iniziative aziendali.
L’ostacolo, in questo caso, non deriva dalla tecnologia di per sé, ma dalle modalità di organizzazione interna. Senza una strategia efficace di change management, l’AI non può realizzare il suo pieno potenziale e, anzi, si trasforma in una difficoltà aggiuntiva, incidendo anche negativamente sui processi, i ruoli e le relazioni dell’organizzazione.
Change management nell’adozione di sistemi di AI
Quando si decide di impiegare l’AI in un nuovo processo, il team tecnico avvia di norma un progetto pilota. I risultati possono essere incoraggianti, finché l’attività rimane in un ambiente controllato. Tuttavia, è quando il nuovo strumento viene introdotto all’interno di processi reali che possono emergere i primi problemi.
I segnali di una scarsa adozione sono solitamente gli stessi: i team continuano a usare i metodi precedenti in parallelo all’AI, per assicurare una gestione più sicura, inserendo però i dati in modo frammentario o spendendo tempo non necessario in queste duplici attività. I responsabili faticano a fidarsi dei risultati forniti dall’AI e tendono a tornare alle modalità decisionali precedenti.
A un primo sguardo, ciò può sembrare un problema di algoritmo o integrazione, ma in realtà si tratta di un problema di change management. Il team ha effettivamente progettato la soluzione tecnologica, ma il contesto organizzativo in cui dovrebbe operare è rimasto sostanzialmente invariato.
Tre livelli da gestire insieme
Applicare il change management a un progetto di AI non significa solo “comunicare meglio” la novità. Vuol dire lavorare contemporaneamente su tre livelli distinti, che si influenzano a vicenda.
Livello individuale
Per il singolo, il change management prevede dei passaggi molto chiari: prima di tutto bisogna fargli capire perché l’azienda sta introducendo l’AI in un certo processo e quali sono le aspettative nei suoi confronti. La persona coinvolta dovrà poi disporre di tempo e supporto per testarla nella quotidianità, capirne l’utilità, sollevare eventuali difficoltà e ricevere indicazioni chiare quando qualcosa non funziona.
Quando questi passaggi restano impliciti, l’adattamento richiesto potrebbe non avvenire mai completamente. Le persone useranno comunque lo strumento solo quanto basta per raggiungere un certo livello di conformità, ma continueranno a prendere le decisioni come hanno sempre fatto. A quel punto l’AI sarà presente nei processi, ma solo formalmente.
Livello organizzativo
Ogni progetto di intelligenza artificiale riguarda anche la struttura. Cambiano i flussi di informazioni, il modo in cui i dati arrivano ai responsabili, il perimetro delle decisioni che restano in capo alle persone. Se l’organizzazione non rivede processi, ruoli e metriche, il sistema di AI finisce per sovrapporsi a meccanismi nati per funzionare senza di lui.
Il change management, in questa dimensione, serve a ridisegnare i punti di ingresso dell’AI nei processi, a chiarire chi fa cosa e a far sì che il nuovo flusso sia sostenibile nel tempo nella sostanza, oltre che nella forma. In caso contrario, si rischia solo una duplicazione di passaggi, con collaboratori che correggono discrezionalmente le decisioni del modello o introducono controlli aggiuntivi, annullando i benefici attesi.
Livello culturale
C’è infine una dimensione meno visibile, ma centrale: il clima in cui l’azienda introduce l’AI. Quando l’organizzazione aumenta l’uso di dati e automatismi, cresce anche la tracciabilità delle scelte e delle performance. Se la cultura interna non normalizza il confronto sui risultati dell’AI e la segnalazione di eventuali errori, molte persone percepiranno il sistema come un ulteriore strumento di controllo.
In questo quadro, il change management coincide con la costruzione di alcune regole chiare: occorre definire come trattare gli errori iniziali, quanta autonomia avranno le persone nelle decisioni e come i responsabili dovranno definire i risultati nel tempo. Solo così l’AI può diventare un supporto al lavoro, anziché un elemento di tensione costante.
Formazione e resistenze
Quando viene introdotto un nuovo strumento AI in azienda, la formazione interna è sicuramente un passaggio necessario, ma insufficiente se il change management non adotta ulteriori misure.
La partecipazione di corsi e l’ottenimento di attestati può essere un primo passo, che però non annulla il rischio di resistenze da parte dei collaboratori. Tali resistenze possono assumere forme diverse:
- Uso minimo degli strumenti AI, limitato a pochi casi;
- Inserimento superficiale dei dati, con scarsa qualità dei risultati;
- Ricorso continuo a eccezioni e deroghe per giustificare il ritorno al metodo tradizionale;
- Mancanza di priorità e di un reale sostegno al progetto.
Nelle indagini sul tema, una considerevole porzione di dipendenti ha ammesso di ostacolare, in modo diretto o indiretto, i progetti di trasformazione legati all’AI. Bisogna inoltre considerare che la soglia di resistenza aumenta quando le nuove modalità e le attività automatizzate non vengono chiarite sin dall’inizio.
Un change management efficace affianca alla formazione tecnica delle operazioni volte a comunicare chiaramente le aspettative: che cosa ci si aspetta dai diversi team, quali margini di errore sono accettabili e come verrà valutato il contributo individuale in un contesto in cui una parte del lavoro viene delegata all’intelligenza artificiale.
Change management e ridefinizione dei ruoli
Ogni progetto di AI porta con sé una ridefinizione, implicita o esplicita, dei ruoli esistenti. Alcune attività vengono automatizzate o fortemente accelerate. Altre richiedono più capacità di interpretare dati, prendere decisioni e gestire le anomalie.
Senza una strategia di change management, questo passaggio rischia di rimanere in secondo piano. Le persone non sanno se la tecnologia servirà a supportare il loro lavoro o a rendere meno necessaria la loro presenza. Si potrebbe infatti pensare, ad esempio, che l’introduzione dell’AI riduca lo spazio decisionale relativo alla propria mansione, anche quando l’intenzione è opposta.
I casi in cui l’adozione dell’intelligenza artificiale ha sortito i migliori effetti sono quelli in cui essa è stata utilizzata per gestire le attività ripetitive, dirottando l’impegno umano sui compiti di analisi, relazione e decisione.
Il change management, qui, è stato necessario per esplicitare le nuove suddivisioni delle mansioni, definire percorsi di aggiornamento per i profili più esposti al cambiamento e chiarire come misurare i risultati del nuovo contesto. Le aziende virtuose, anziché rassicurare in modo generico i dipendenti, dovrebbero invece spiegare nel dettaglio la nuova organizzazione delle giornate di lavoro, la ripartizione aggiornata delle attività ed evidenziare le competenze più rilevanti, per rimuovere ogni possibile resistenza e dare un senso di continuità e sicurezza.
Shadow AI: un sintomo di change management incompleto
Un fenomeno sempre più frequente è la cosiddetta Shadow AI, che prevede l’uso (da parte di singoli o team) di strumenti basati sull’AI non approvati o non governati dall’azienda. Chatbot pubblici, servizi gratuiti, applicazioni online utilizzate per produrre contenuti, analizzare dati o generare codice al di fuori dei canali ufficiali.
Questa pratica espone a rischi consistenti per quanto riguarda i dati, la sicurezza e il livello di conformità. Allo stesso tempo è un indicatore importante sullo stato del change management: se una parte del personale cerca soluzioni autonome, spesso lo fa perché percepisce gli strumenti ufficiali come lenti, poco accessibili o con vincoli burocratici eccessivi.
Un approccio maturo non dovrebbe limitarsi a vietare la Shadow AI in modo generico. Il change management, rispetto a questo tema, si sviluppa su tre dimensioni fondamentali: definire chiaramente le politiche, fornire soluzioni approvate che rispondano ai bisogni concreti e coinvolgere attivamente le persone nella creazione di linee guida che equilibrino sicurezza e usabilità.
Impostare un percorso di change management
Quando l’intelligenza artificiale e il change management si integrano sin dall’inizio, il progetto acquisisce un’impostazione completamente nuova. L’adozione di alcune best practices, in numerosi casi, contribuisce al superamento della fase pilota e alla buona riuscita dell’iniziativa:
- Ancorare il cambiamento a KPI specifici e misurabili: l’AI deve essere allineata agli obiettivi del processo, come la riduzione dei tempi, il miglioramento della qualità e la gestione efficace delle eccezioni. Il change management utilizza queste metriche come guida costante nella comunicazione interna e nella definizione delle priorità, creando un ambiente di lavoro orientato al successo.
- Coinvolgere attivamente le persone che conoscono il lavoro quotidiano: non solo i leader, ma anche i membri operativi che interagiscono con i processi ogni giorno. Il change management raccoglie feedback preziosi da questi ruoli fin dalle prime fasi, garantendo che le soluzioni siano pratiche e pertinenti.
- Chiarire ruoli e responsabilità nel contesto dell’AI: stabilire chi ha la facoltà di modificare i parametri del modello. Chi decide in caso di discrepanza tra output dell’AI e valutazione umana, e come vengono gestiti gli errori. Il change management traduce queste decisioni in regole chiare e condivise, promuovendo un senso di responsabilità collettiva.
- Promuovere formazione continua e supporto pratico: oltre alle sessioni iniziali, il change management prevede incontri periodici di confronto, supporto nelle attività critiche e spazi sicuri per discutere problemi e casi concreti, incoraggiando un dialogo aperto e costruttivo.
- Misurare adozione e qualità del cambiamento, non solo metriche tecniche: accanto agli indicatori di performance del modello, il change management monitora tassi di utilizzo, qualità dei dati, percezione interna e livello di autonomia raggiunto nel tempo.
Tirando le somme
Il change management è la base fondamentale che consente all’innovazione tecnologica di integrarsi nei processi, nei ruoli e nelle decisioni aziendali, evitando possibili reazioni avverse o resistenze silenziose.
In una struttura solida, il successo dell’implementazione deve essere attribuito non solo alla tecnologia, ma anche alla capacità di gestire il cambiamento. Quando il change management è progettato con la stessa attenzione dedicata all’architettura tecnica, l’AI diventa un potente strumento di trasformazione del lavoro, capace di generare risultati tangibili e duraturi.



